Archivi del mese: giugno 2013

le mie vacanze

Da un po’ di tempo nessuno mi chiama più per cui mi sono deciso per un periodo sabbatico. E’ un periodo che dura da sette anni e credo che deciderò di uscirne solo quando qualcuno mi farà lavorare. Non per questo però rinuncerò ad andare in vacanza. Andrò su marte, o meglio lì vicino, non ricordo come si chiama, è un piccolo pianeta e ci sono già stato l’anno scorso. E’ un bel posto, dove si sta tranquilli, l’unico problema sono quelli della nasa che vanno avanti indietro e danno un po’ fastidio, per il resto c’è un bellissimo paesaggio, e sembra come quando sei sulla terra e sei in vacanza in un posto che sembra marte. Ma la cosa più sorprendente è che gli indigeni usano cambiarsi continuamente di cervello, è una loro usanza, un po’ come per noi fumare. Ovviamente fanno tutto in digitale, o come si dice, cioè non si tratta di un vero e proprio trapianto ma il cervello viene praticamente riformattato per poi installarci i dati di qualcun altro. Questa pratica ha una funzione sociale straordinaria, serve a condividere quello che si pensa e si prova. Un uomo può farlo con sua moglie o coi suoi figli, ma ci sono anche dei luoghi predisposti a questo dove tutti mettono a disposizione il cervello in cambio di quello di uno sconosciuto. E’ un gioco, non proprio da turisti, ma è l’attrazione principale per cui vengono da tutti i pianeti a rinfrescare i pensieri stanchi. Si può ad esempio provare il cervello di un assassino, e ad un processo i giudici potranno capire meglio cosa fosse passato per la sua testa quella volta. In questo modo quando uno dorme può rendere disponibile il suo cervello ad altri, insomma ogni tanto anche i più stupidi possono passare una giornata intelligente. E poi non puoi giudicare, avere delle idee riguardo qualcuno, in quanto nessuno è prevedibile o scontato perché non sai mai se quel corpo che conosci da sempre si sta portando a spasso il cervello di qualcun altro che magari comunque conosci ma al quale vorresti nascondere qualcosa, quindi non si può nascondere niente e tutto questo è molto divertente. Ci sono persone che sono diventate ricchissime a furia di noleggiare il cervello, ma queste sono quelle disfunzioni sociali che avvengono un po’ dappertutto. Io devo dire la verità, non sono così sicuro che il cervello che mi hanno rimesso l’ultima volta sia proprio il mio, ma va bene lo stesso, anche perché a pensarci non sono nemmeno sicuro che quello che avevo prima non fosse realmente di qualcun altro. L’importante è che alla nasa non si accorgano di niente, se no la vacanza finisce.


randomcanguro 7

si accorse che non la desiderava più, che piuttosto lo urtava il pensiero della sua sgraziata benevolenza. Un relitto in fondo al mare, abitato dai pesci, questo voleva essere, e forse già lo era diventato, o almeno così si vedeva dall’alto del suo elicottero in perlustrazione. Un passo, due passi, lo portarono più in là, mostrandogli il vuoto da un’angolazione diversa, dove lui era, e adesso non era più. Senza che le avesse sollecitate, in breve le sue gambe raggiunsero la città ordinaria, trascinandosi tra ombrelli e allegre corse di ragazze spensierate, in quell’unico colore, senape sbiadito dalla pioggia fitta, che gli faceva pensare a un disastro ecologico, una nube che avvolgeva nella sua noia ogni sforzo di essere vivi. Non c’era traccia di un contrattempo qualsiasi che avrebbe potuto ridargli vigore. E a cosa sarebbe servito, ormai che una strada sola si allungava davanti a lui in un asfissiante tunnel fino al mare, là sul vertiginoso dirupo che da tempo lo aspettava. Com’era fragile quel confine che aveva sempre creduto invalicabile, così accuratamente presidiato dal suo ostinato ottimismo, e con quanta semplicità evaporava nel nulla la furiosa attitudine alla vita che nel tempo era diventata parte del suo stesso corpo, e che forse, pensò, si era incarnata proprio in quel braccio disgraziato


l’uno per l’altra

Ho sempre avuto questo problema, e adesso lo posso raccontare, perché l’ho risolto. Molto tempo fa avevo  conosciuto una ragazza e mi piaceva, però per farla breve è successo che a me a un certo punto è presa questa voglia di accarezzarle le orecchie. Lei in un primo tempo mi lasciò fare pensando che fosse un vezzo simpatico e intimo e che io volessi con quel gesto portare avanti qualcosa del nostro rapporto per arrivare da qualche parte, però col tempo io ero sempre più fissato sulle orecchie e si arrivò al punto che se  stavamo passeggiando per la strada la gente pensava che io la stessi portando in giro per l’orecchio ed era, io la capivo, molto imbarazzante per lei, non per me, a me piaceva. Oppure eravamo seduti al bar, e io con una mano tenevo la tazzina e con l’altra il suo orecchio. Ho cercato in tutti i modi di spiegarglielo, cioè che questo mi rassicurava e che non avevo niente contro di lei, ma è stato impossibile farglielo capire e l’ultima immagine che ho di lei è quando scappava urlando e forse anche piangendo e io che l’inseguivo cercando di toccarle per l’ultima volta quelle sue orecchie meravigliose. Non so se erano così belle in realtà perché poi  quando ho conosciuto altre ragazze le orecchie mi piacevano sempre quindi probabilmente doveva essere qualcos’altro. Ricordo con un’altra poi, che cercai di approfondire, nel senso che ogni occasione era buona per guardarle dentro, e se potevo intervenivo anche con il cottonfioc. Anche con lei durò poco, diciamo che non aveva orecchie per me. Un’altra mi lasciò, e lei davvero avrebbe potuto essere la donna della mia vita, perché lei mi capiva e mi assecondava, chissà forse aveva intuito il senso profondo di quel mio tic, però a un certo punto le venne l’ossessione della pulizia, si lavava continuamente le orecchie sentendo fortissimo il peso della responsabilità nei confronti delle mie attenzioni, finché si arrese dicendomi che non si sentiva all’altezza della situazione, e se ne andò, e io a implorarla che a me in fondo bastava restare aggrappato alle sue orecchie, ma se ne andò. Ecco vi dicevo che però adesso le cose si sono sistemate. Poco tempo fa ero in fila aspettando di pagare non so cosa e si avvicina questa ragazza. Mi guarda per un po’, e poi comincia a toccarmi il naso. Ora io so di essere piuttosto dotato, ma credevo che scherzasse, o che si prendesse gioco di me, però vedevo i suoi occhi da vicino e so bene cosa significa un turbamento, quando c’è una lacrima che lo attraversa per poi cadere inaspettatamente nel burrone. Sembrava non avesse mai visto un naso come il mio, sembrava essere arrivata a destinazione. Dopo averlo carezzato voluttuosamente, prima una sponda poi l’altra, come a voler plasmare il suo sogno con le dita, all’improvviso lo strinse e mi trascinò via da lì. E così adesso siamo felici, e quando passeggiamo per la strada, non si può dire proprio mano nella mano, la gente dica quello che vuole, ma io il suo orecchio non lo lascio, e il mio naso è tutto per lei.


lento riavvolgimento 5

football
 
 
 
parabolicamente vale un cinguettio
posato sul pallone il feroce verso
del whisky pubblicitariamente c’è
molta foschia tra l’onorario e
l’allarmante presepe coincidendo
la beffa le fauci del tortuoso
canarino dal buco di carne sbranato
a causa di per ordine di non mi
contengono più non ho più una volta
sotto canestro allargando il punico
sonetto nella radiofonica distanza
sei durata di più sciroppata pedinata
dal pencolìo del ginepreto brucia
l’ennesimo appunto ventoso marx
a luogo di sciami sul colle il confine
è segnato filo di lana o nastro tricolore
o filo spinato è uguale è comunque da tagliare
 
 

randomcanguro 6

Il viaggio di ritorno fu scandito da una canzoncina che gli tornò alla mente da chissà dove. Pensò che doveva essere il treno stesso, che caricato alla partenza come un malinconico carillon, addormentava le tristezze. Il cielo si era aperto in una sinuosa ferita che rovesciava luce sui campi fangosi. Alcune mucche sfrecciarono serenamente nel vetro sporco. Antonio si sentì come un nastro che si riavvolgeva, e quando sopraggiunsero i primi palazzi della città coi loro riflessi rosati, pensò che da qualche parte doveva esserci un tramonto.

 


tutti sognano io no

 

Stanotte quando stavo per mettermi a dormire un uomo è entrato nella mia stanza e senza darmi il tempo di spaventarmi mi ha detto mi scusi, ha preso la sedia e l’ha portata fuori. Non sembrava proprio avere cattive intenzioni, quindi sono rimasto a guardarlo, entrava e usciva dalla stanza svuotandola un po’ alla volta. Poi entrò con un altro uomo, al quale diede ordine di togliere le tende, mentre un altro con la tuta saliva sulla scala per smontare il lampadario. Proprio adesso che sono stanco e voglio andare a dormire deve arrivare tutta questa gente? pensai. La stanza ben presto non fu più che quattro muri miseramente bianchi. L’uomo che comandava i lavori si affacciò alla finestra, fece un fischio e poi mi disse di stare tranquillo che andava tutto bene. Arrivarono altri uomini, misero dei tappeti e colorarono i muri di verde e giallo, altri portarono oggetti vari e indefiniti tanto che io non riuscivo a distinguere se volessero farne una sala operatoria o un’officina. Il nuovo lampadario però era indiscutibilmente settecentesco. Montarono anche uno schermo enorme dal quale uscirono fuori uccelli a forma di gatti neri che presero a volteggiare nella stanza. Dal soffitto piovve un tuffatore che si infilò nel pavimento, e quando qualcuno cercò di applaudirlo fu subito accoltellato. Il sangue zampillò come una fontana che spruzzò la stanza e tutti i presenti di piccole macchioline rosse. Un grasso soprano approfittò per farsi una doccia intonando un vocalizzo, e più si riempiva di sangue più il suo acuto diventava stridente. Entrò un maiale con in groppa un bambino che rideva alla follia. L’enorme schermo rimandava una foresta e il rumore sensuale della sua sinfonica pioggia. E c’erano due donne, quella nera urinava davanti a me, quella bionda sorseggiando un cognac voleva improvvisare una poesia, ma in quale lingua? Un sommozzatore si affacciò alla finestra bussando contro il vetro. Io ero inaspettatamente seduto su un trono, e avevo sempre più sonno. Il maiale calpestava popcorn, aveva al collo un grosso orologio che girava velocissimo. L’assassino era scappato e tutti fecero improvvisamente silenzio per stare ad ascoltare la foresta. Che sonno avevo! Ragazzi dissi, è il vostro sovrano che vi parla, è ora di andare a dormire. Rimisero tutto a posto in un baleno. Per ultimo il direttore dei lavori riportò la mia sedia al suo posto, là dove mi dava modo di riconoscere la mia stanza, quella di tutti i giorni e quella di tutte le notti. Anche il profumo di fragola era svanito. Così finalmente potei mettermi a letto, con la speranza di potermi infilare in qualche buon sogno. Stamattina però quando mi sono svegliato fui deluso di non avere sognato niente, o forse come si dice, di non ricordare nessun sogno. Fortunato chi ricorda i sogni.

 


la scoperta dell’amore

 

dal film “Il suono di una mano sola” (1999) di Massimo Bettini