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ostaggio di me stesso

ostaggio di me stesso

 

Non riesco più a vedere storie dentro di me forse vorrei solo fare foto a donne sedute sul water o ricevere telefonate minatorie, sono le cinque del mattino, mi metto sul balcone in piedi contro il nord, la sfumatura delle montagne sul fondo, il frastuono degli uccelli, io da quando sono diventato un delinquente conto solo quanto manca a diventare ostaggio di me stesso, mi vedo spiaggiato e accerchiato da bagnanti che fanno video con crudeltà, mentre io voglio solo essere un vecchio con la badante bionda e piena di rossetto e portarmela in strada e ridere, in due è come essere soli non voglio più uccidere non c’è più gusto ogni cosa succede di notte, l’odore indecente dell’estate, un anfratto di giugno dove le donne sono in disuso e piangono per diventare belle. Può darsi che prima di domattina avrà un senso, viene da molto distante, sotto la linea dell’orizzonte per risolversi in un tenero abuso della luna e poi c’è forse da suonare un pianoforte bruciato e abbandonato, c’è forse da procurarsi un suono insopportabile e respirare intere mongolfiere di piacere.
L’ho lasciata in una pozza di sangue sul pavimento della cucina, giorno dopo giorno continua a fare cuori con la plastilina, a volte mi sembra che succedono tante cose intorno a me, a volte mi sembra che non succede niente, un gatto che ti salta addosso, un uomo che impreca poco lontano, penso che dovrei imparare a morire un po’ alla volta, un po’ alla volta riempire il cielo di gomme da masticare, vagare con passi falsi come quando sono finito in quel posto dove una ragazza si spogliava ma sotto aveva un altro vestito e quando se lo toglieva ne aveva un altro e continuava a spogliarsi ma era sempre vestita e allora mi veniva da pensare agli orti affacciati sulla tangenziale mi veniva da pensare che l’universo è come noi, a un certo punto l’ultimo barlume di luce si spegnerà, e sarà morto, è uscito il sole, vado a liberare i palloncini.


ogni cielo nero ha bisogno di una collina bianca

Non mi piacciono le videopoesie, di solito sono una palla, però ne ho fatta una, che forse è una palla, o forse no…

il testo è qui

 

 

 


bozza del discorso per quando mi daranno il nobel

 

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Signori ascoltatemi, io sono quello che ha inventato trenta giorni a novembre con april giugno e settembre ma non lo sa nessuno perché quando l’ho sussurrato tra me e me per la prima volta tutti stavano guardando la luna che si spostava per non farsi mirare dal missile. E però adesso ve lo spiego meglio chi sono, sono uno che non gli piace la democrazia. La democrazia concede un voto allo zotico ignorante tanto quanto a un plurilaureato, e io penso sia sbagliato che i due voti debbano avere lo stesso peso, perché non può essere che siamo tutti uguali, non di rado infatti succede che lo zotico sia molto più saggio del laureato. E allora ecco la mia proposta, tutti nudi con la testa coperta da un qualche burqa perché così non ci sarebbe da vergognarsi di niente una volta che hai messo al sicuro la faccia. Solo corpi nudi in giro per le strade e nei negozi e negli uffici, solo carne sormontata da un cappuccio, sotto il quale immaginare una scrofa o un bovino un beota o un angelo custode. Nessuno deve potersi guardare in faccia e negli occhi e vedere le lacrime di chi piange ma consolare solo il suo corpo, consolarlo con le mani e con gli sguardi del bovino, niente baci solo mani, percorretevi le pelli, estirpatevi i peli, lasciate scorrere le vostre utopie che hanno l’odore del terriccio incolto, specchiatevi nei muscoli dei malintenzionati, urlate, azzannate, rotolate, assaltate le rovine. E solo alla sera nascosti nelle nostre case potersi rivestire, mettersi a letto e cantare la preghiera del criminale felice. Ogni illusione che sia punita e ogni risveglio che si affacci a vedere luoghi dove sia vietato parlare inglese, paesaggi in bianco e nero con un pianoforte a celebrare il potere dell’olfatto, e il selvaticume dei vostri pensieri spanderlo sopra un agosto senza fine. Tutti i vocabolari televisivi saranno bruciati perché per capire chi sei non devo interpretare i tuoi pantaloni o le tue scarpe, e allora sì che il linguaggio del corpo non sarebbe solo uno sfizio, e una volta che fossi riuscito a instaurare questo regime io me ne starei a casa, perché non voglio dire niente al mondo, nemmeno se fosse il premio della mia ultima lotteria vincente. Non c’è qualcosa che mi preme di dire, non ho la necessità di urlare un bisogno, solo osservare il calendario stare fermo sopra il muro, e se il consiglio ha deciso che non vi piaccio, bene, si liberano delle sedie allora.


fare l’alba, disfare sogni

alba

 

C’è un aereo che parte tra poco. Non faccio mai quello che penso di fare per cui ho lasciato la luce accesa. Quando torno prenderò un appartamento, sì voglio sposarmi. Camminiamo? Così mi potrai chiedere se ti cercavo, e io, cosa hai fatto in questi giorni? e tu, ha piovuto continuamente. Questa è la chiave e quella è la fioraia, sono io, non ti ricordi di me, dei miei fiori, come potrei dimenticare anche ciò che non è mai esistito, dimenticare la mia inesistenza floreale, aspetta là dietro però, è una donna gelosa, anzi tieni vai a mangiare qualcosa, non posso lavorare se no. Non ti mando via, è una cosa urgente questo tramonto, sebbene sia solo uno dei tanti colori al mondo, ma qui sotto quest’ombra io ti posso giurare che non ti amavo e che poi mi è piaciuta la tua rabbia e il mio spavento quando facevi suonare il telefono, che se suonasse adesso sarebbe come soltanto una goccia di pioggia. Voglio essere sicuro che non vedrai nessuno, e io a pascolare maiali in un castello, in mezzo ai soldati, voglio vedere solo soldati. Il cancello dà sull’orto, lo attraversi e passi un canneto che ti porta fino ai campi, sul fondo vedrai la villa, c’è un pozzo nel giardino dove ti potrai nascondere in caso di pericolo, e lì depilarti come ha fatto quel pazzo l’anno scorso che ti ha violentata e poi ha firmato per essere il più bello il più intelligente, il migliore di tutti quelli ai quali hai gridato vattene sei un assassino. Questa notte staremo svegli, per farti soffrire quanto ho sofferto io, per rivestirti piano piano, le tue povere fiamme non possono niente e niente le spegnerà, è difficile sopraffare le guardie, difficile che io mi ammali all’idea di vedere il sangue.
Cos’altro, qualcosa che non va, se chiamate un dottore ditegli di aspettare, perché noi ci conosciamo e non ho idea di ciò che sia il freddo seduto ad aspettarlo, sono tre o quattro ore più comodo, dove c’era stato un cadavere adesso credo che avremo burrasca, quella di non sapere cosa succede, vuoi spegnere quel motore? orribile, scoppiettante come il diritto di salvarci e di chiedere aiuto. L’ho visto mentre l’uccideva e cercava di fargli capire che si può festeggiare perché siamo ricchi, e cosa cercare ancora finalmente, di incontrarlo un’altra volta che non lo conosco molto bene, oppure digli di darti un numero dove lo possa chiamare. Ma ti sei mai chiesto dove vanno, e il frammento di osso nei polmoni era la causa della morte. Ti avevo detto di chiamarmi, era urgente, finché il tramonto non era ancora tramontato, ti vorrei aiutare ma non so dove sia, tieni la bocca chiusa comunque, apri la porta e così come mi hai trovato stamattina, un corpo che squilla senza risposta, così voglio avere il tuo cuore qui nelle mie mani, perché mi piace, morire lentamente in un buco della roccia dove non possono trovarmi, domani mattina in stazione, alle otto. Posso spiegarti il malinteso, quella mossa di attraversare la strada, entrare nel parcheggio, accanto alla voce femminile di un uomo che può fare qualsiasi cosa quando è disperato.
Siamo già in ritardo. Non ho preso un soldo con me. Voglio provare a dirglielo subito di quell’incendio laggiù, ma dopo trenta chilometri chi mi inseguiva mi sfuggiva, la lettera l’avevi ricevuta e io ti avevo ritrovata, sfidata, e sentito dire non puoi entrare, da quando tua madre è morta hai sempre torto, che importanza ha la tua angoscia, c’e una vecchia che ti desidera nel salone grande, colpita in battaglia ti racconterà la mia colpa. Grazie di tutto, se sei d’accordo la tua grossa delusione sono io. Non parti con me, dunque questo è il rapporto, speriamo che soffi forte il vento, spostati, spostati ancora un po’, ripeti ancora un po’ che è inutile, dai un’occhiata, guarda la tua nave come batte il record di tutti gli azzurri immaginabili, bruciarla, con questo mare. Prendi quella sedia, volevo dirtelo da tanto tempo. Ho bisogno di aria, so che non dovrei uscire senza giacca, ma ricordo com’eri felice.
Vestita così hai un bel sorriso. Stai attenta a come rispondi, non ti aspettavo più, perché non mi hai detto che saresti venuta. Lei fa il bagno con la maglietta, che animali avrà? Un telefono, una finestra. Ho imparato a pensare come lei, questo è il suo problema. A volte devo svegliarmi per urlare il suo nome. So quanto devi aver passato, e spero non sia un altro falso allarme, o di più, pronto sì, un’ambulanza per favore. Per quanto tempo ancora quest’odore di ossido di carbonio s’infila nella macchina sbagliata. La merda dei traditori mi fa dimenticare dio, ti farò pedinare, vestito da spazzino ti dimenticherò, non meritavi di morire così. Da piccolo pensavo alle cose che facevo, adesso svengo, vedo l’alba dal patibolo, e ti aspetto fuori. Godrò di te, la luna se finisse la sua corsa in un lago, con quel sapore intenso del latte violento avresti solo un sospiro che io non saprei come usare, gli animali i fiori la musica, voglio essere essenziale, godermi dio poi buttarlo via, un camion che cade dal cielo.

 

(Ho ritrovato questo nel computer, data creazione documento 2006, ma io me lo ricordo ancora più lontano, l’ho letto, andava bene per questa foto che mi sono fatto invece pochi giorni fa, e andava bene perché non sapevo proprio cosa scrivere delle mie albe e di tutti i sogni che ci sono passati in mezzo, e andava bene perché sembra non sia cambiato niente da come sbirciavo l’alba allora e potrei averlo scritto stanotte, che non se ne sarebbe accorto nessuno, nemmeno io)


giugno sexy

 

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La pioggia mi sorprende mentre immagino il tuo viso che si riempie di nuvole e morbillo, ho l’ombrello piantato nel petto e tu a spruzzare latte per le strade mi guardi come un cane che ha le piaghe e allora girami dammi un altro sfondo per morire, devo trovare un paracarro per legarci le mie idee devo sapere quello che stanotte ha sognato il mio computer, mangio la verdura sputo la verdura e mi rigiro nella tomba sgonfio di poesia, la notte scendo prendo nota delle targhe e spero di inciampare sulla tua scatola nera che appena la trovo la sotterro perché cresca l’amore, ma intanto ti dico e te lo dico con un dito che questo è un invito ufficiale a non amarmi mai, solo vieni a raccogliere le alghe che mi galleggiano dentro.

calendario sexy


a me te non mi piaci neanche se ti pettini il congiuntivo

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Che palle quelli che pensano che basta sapere l’italiano e sono fissati coi congiuntivi e i tempi e la punteggiatura e a me mi che non si dice e gli accenti quelli a destra e quelli a sinistra… abbiamo capito che sei un secchione ma sei tu che non hai capito che l’italiano e la grammatica si evolvono e che in fondo l’abbiamo inventato noi l’italiano e io come lo creo lo distruggo come voglio e quando voglio e soprattutto quando mi serve e soprattutto ancora quando so di essere capace di distruggerlo e di non avere bisogno di dimostrare niente a te che sei solo un secchione e non ti sei accorto che la scuola è finita e non ce ne facciamo più niente dei secchioni, dei loro esibizionismi che assomigliano alle indignazioni degli onesti, di buone letture buona musica sano e buon sesso, fai lo snobbetto e non capisci che sono io che ti snobbo te e la tua grammatica ammuffita, spostati, e anacolutati.


maggio sexy

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Stanotte ho sognato link che non portavano da nessuna parte e quando mi sono accorto che era lì che volevo andare mi sono svegliato ed ero in una casa piena di telefoni col terrore che ne suonasse uno e non avrei saputo a quale rispondere, allungo la bocca per cercare il bicchiere ma poi apro gli occhi e non c’è nessun bicchiere, mi sento disabitato in questa casa innamorata a inseguire previsioni meteo su tutti i canali, guardo trascorrere le nuvole come fossero lettere da mandare a qualcuno che non le aspetta, e c’è sempre quella scena là fuori di quel trattore che schiaccia il poeta che finalmente urla davvero, domani andrò su quel pendio ad allevare barboni e passerò il tempo a buttare gente nel fiume, quale terraferma ha mandato questa rondine a rovinarmi la foto, quale voglia di star nudo per discutere un po’, un occhio chiuso e l’altro che piange, sai che mentre dormo voglio sapere se piove, ho fatto come mi hai detto ma non ricordo più cosa aspetto.

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le misure sono importanti

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Volevo scusarmi per aver scritto una cosa troppo lunga qualche giorno fa. Ecco qui subito pronta una cosa corta riparatrice. Se qualcuno pensa che sia troppo corta può sempre andarsi a leggere quella lunga di qualche giorno fa che sta qua. Per chi volesse invece insisterere a leggere questa più corta temo che dovrà accontentarsi di arrivare solo fin qui perchè nessuno me compreso vuole correre il rischio che diventi troppo lunga. Che a quel punto converrebbe andare a vedere quella di qualche giorno fa e nel caso risulti davvero troppo lunga si può sempre tornare a leggere questa che è più corta, oppure nell’incertezza potreste anche orientarvi su una cosa media come questaSe non è chiaro mettete commenti, ma che siano brevi, e io cercherò di darvi delle spiegazioni un po’ più lunghe.


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Se metto un dito nell”orecchio sinistro mi fa male la pancia a destra. E’ difficile da credere ma va così, mi prude l’orecchio io mi gratto e arriva una fitta nella pancia. Se poi alzo la gamba sinistra la pancia non mi fa più male. Almeno finché in questa posizione non chiudo gli occhi e a quel punto non sento più niente. Sono stato dal dottore e gli ho spiegato e lui mi ha chiesto se mentre facevo tutto questo avessi per caso provato a trattenere il respiro. Ero perplesso così mi sono alzato e ho cominciato a grattarmi l’orecchio per riprodurre tutta la procedura e verificare l’effetto, ma il dottore ha toccato qualcosa sotto la scrivania e subito sono entrati due infermieri che mi hanno portato fuori senza tanti scrupoli. Io non capisco davvero come si fa a trattare così una persona che ha dei disturbi. Un po’ di umanità è quello che dico. Per di più io ti sto offrendo un’occasione per diventare famoso, tu studi il mio caso e diventi famoso. E se poi pensi di avere ragione tu perché hai studiato va bene ma allora non martellarmi con le dita sulle spalle che poi ti devo dire che mi fa male il ginocchio e tu non mi credi.
Comunque a parte questo il resegone è la montagna che sta qui davanti a me, col sole le montagne sembrano più vicine, che le puoi toccare, mentre quando il cielo è sporco e pieno di noie il resegone si abbassa, si allontana, un po’ come le cose che ci sembrano irraggiungibili, basta un po’ di sole, togliere del rumore alla vita e ritornano lì pronte davanti a splendere della loro assurda ovvietà, che mi fa pensare che tra cent’anni non mi ricorderò più di me, e così occorre che punti qualche sveglia da qualche parte, e che prenda nota dei luoghi su qualche muro.
Siamo al mondo per essere derubati, per la conquista di un capezzolo, quando farò un viaggio e l’aereo atterrerà nel mio giardino allora sarò arrivato, intanto sono un mediocre perché ho lasciato che riuscissero i mediocri mentre ci sono persone straordinarie nella loro normalità ma non perché fanno grandi cose ma perché non le fanno e vivono il loro anonimato con la decenza e l’eroismo di un sasso che ci vogliono le ere per spostarlo oppure la mano di un bambino. Ad esempio, quando io ti paradossalizzo mi sento bene, è che tu stai a casa di dio o forse a casa di dio ci sto io, di questi tempi è meglio sfruttare le discese, siamo tutti la merda di qualcuno e il sole è così freddo che ci sono più gradi all’ombra. Vorrei che tu mi portassi in un ristorante dove tutti mangiano in silenzio, solo le posate che si sentano e poi uscire fuori nella piazza immensa e bagnata dalla pioggia per starnutire contro ogni passante. Ci sono fiori che crescono dalle mie ascelle appassiscono e rifioriscono a scandire le voglie e le paure di ciò che non diventeremo mai perché i giorni non sono tutti uguali, lo vedo dalle lucciole che si spengono nella mia vasca, e il 13 aprile è uno dei giorni migliori per me perché il giorno prima è il mio compleanno e mi sento più libero il giorno dopo, e quest’ultimo 13 aprile io ho pensato che nella prossima vita mi prenderò tutto il tempo per ripensare a questa vita e vorrei anche imparare a fare l’amore con il cappello per vedere se riesco a non farlo cadere.
A volte rileggo le cose che scrivo e mi scompiscio dalle risate, ma si potrà farsi ridere da soli? e a volte poi mi commuovo e mi metterei dei commenti da solo se non fosse che faccio brutta figura, sì perché per me risponderei anche ai commenti che mi faccio da solo. Coi selfie però non ci so fare, è colpa delle cose che penso, che non vogliono farsi vedere e che hanno sempre un che di sbiadito e approssimativo, ideali per quando è il momento di aprire una finestra e benedire i gatti che guardano su, ma niente più. Che a me piace anche paradossalizzare le cose tanto che avevo programmato un post su facebook per stasera alle 20 perché avevo un appuntamento e sarei stato fuori per quell’ora, però tra una cosa e l’altra mi sono dimenticato cosa avevo scritto e più ci pensavo e più me lo scordavo e più avevo paura di aver scritto una stronzata, ho dovuto rimandare l’appuntamento e sono rimasto a casa perché così eventualmente se fosse stata davvero una stronzata l’avrei cancellata subito, e tu non devi pensare che non sei importante per me solo perché ci tengo al mio facebook, infatti io vorrei trasformarti in una statua per pisciarti addosso, e cosa mi dici adesso? Non ci vuole niente a dire che la verità è cugina gemella del delirio, ma mentre continuo a darmi consigli su come guardare lontano l’orizzonte si allontana, questo è, che se proprio ve lo devo dire io voterei per la neve, e lascerei che mi attraversi la testa col suo silenzio.
Sono nato che erano le quattro del pomeriggio e per questo non ingrano mai fino a quell’ora e così confondo alba e tramonto, secoli e istanti, e io con me, c’è un disegno perfetto nelle mancanze del mio corpo e te ne accorgerai quando farò l’amore con te con il cappello per farti vedere che riesco a non farlo cadere. E poi quando mi tolgo la parrucca per buttarmi giù dall’autobus e rotolare dentro la prima porta aperta fino in salotto dove c’è una scimmia che mi guarda con tristezza, allora mi ricordo di quando nell’altro mondo io riconoscevo il corpo dalle fantasie che aveva e spargeva su quel letto di foglie che era la tua vacuità. Ricordo che una volta ero in macchina e mi affianca uno con un cartello in mano e me lo mostra dal finestrino, la solitudine c’era scritto, e sembrava niente più che uno scorcio della prossima vita, un rumore di posate nel cielo limpido dove si staglia il resegone, portami via dottore adesso in quella vita e dimmi cosa c’è nell’orecchio che non si spegne più, e nella pancia che sembra piena di ore notturne fatte col pongo. Chissà come mi era venuto il sorriso.


un’idea sulla prima corsia dell’a4