Archivi del mese: settembre 2013

settembre sexy. 5

Non farti ingannare dalla mia pancia che ha la stessa suoneria di un messaggio in arrivo, vieni con me in cima all’acquedotto, senti come abbaiano le lavastoviglie abbandonate nei boschi. Qualcuno sta versando tutto l’alfabeto sulla campagna, non è l’autunno e nemmeno io, e se lo prendo non avrei bisogno di maledirlo, piuttosto gli farò un buco in testa per guardarmelo meglio. Quello è il posto dove avevo piantato un albero di femmine ma sono tutte volate via e anche tu sarai sempre più piccola fino a sparire.

 


settembre sexy. 4

Prenditi un bacio con la bocca sporca di nutella e taci, che adesso mi metto in affari mi compro un orso e rivendo la pelle, vedrai che fosforescente divento. Basta cercare cibo, mettici la carcassa del desiderio che ti resta, trafughiamo le scene dei film e le rifacciamo al contrario, finalmente depravati, un colore per volta. E ricorda, io se rubo lo faccio per la luna che risplende sulla refurtiva, non per te ma per il tuo spavento grande come la mia apertura alare.


settembre sexy. 3

Ho trovato una mano nella posta con un chiodo conficcato al posto dell’anello e starò a guardarla finché non mi piacerà. C’è mercato per i porno biscotti da rosicchiare sul tappeto, telefonami e sarai al centro del massacro, per te mancherò l’appuntamento col mio orsacchiotto. Le statistiche dicono che c’è un’altra mano da qualche parte, e la troverò, lo so, perché ogni mattina ho quel pensiero che sbatto a terra come una piovra che non vuol saperne di morire.


settembre sexy. 2

Il mio turno di guardia è finito e da domani se qualcuno mi spara io gli darò un pugno, e se non sento l’eco lo elimino dalle cianfrusaglie. Non mi piace viaggiare per cui portatemi le montagne, non sentirò la mancanza di chi ha investito il mio cane, anzi seminerò tachipirina sul paesaggio ostile e lo vedrò rifiorire di termometri succulenti un giorno. Dall’ombelico in giù sono immortale, ho un uragano in ripostiglio pronto per l’amore, chiamate un notaio, non bado a spese, io mi dichiaro marito e moglie.


settembre sexy. 1

Io non mangio mi basta il profumo, mi basta sentire qualche brutta notizia e pagare un maggiordomo perché si butti dal ponte. Un seno dimenticato tra le sbarre era la mia speranza, ma sei finita sotto il tram apposta per me e allora niente, esco fuori a fumarmi una pizza, ad ascoltare quel citofono che parla da solo, e se incontro un albero lo brucio per sputare in faccia al pompiere. Per questo resto a letto, e tengo aperto il rubinetto.


movimenti ripidi degli occhi. 5

La donna si era svegliata quando ancora faceva buio, si era spogliata ed era andata a sparire da qualche parte nella casa. L’uomo, dopo che ebbe finito di sognare un treno che correva su un lago secco, si era sollevato dal letto di soprassalto e aveva attraversato le luci sottili della strada, aveva intravisto la donna dormire nella vasca da bagno, e si era seduto su quella sedia dove ogni mattina cercava di capire se essere felice oppure no. Pioveva. I passi della donna varcarono la penombra come fossero bagnati. Era nuda, ma quello era il suo vestito e la sua bugia, era come quando l’aveva trovata sopra uno scoglio e non sapeva come sfiorarle la schiuma che la ricopriva. Andò a sedersi sul tavolo e aprì le gambe in modo che l’uomo restasse in contemplazione davanti a quel suo panorama incolto mentre lei distrattamente guardava alla finestra i primi lontani chiarori dell’alba. Lui sentiva l’odore di caffè che avevano le sue gambe, e pensava che se solo avesse potuto distinguere la pioggia dai suoi occhi forse avrebbe potuto anche provare ad amarla.


movimenti ripidi degli occhi. 4

L’uomo si era fermato sul marciapiede e aveva cominciato a fissare una bambola nella vetrina, la fissava negli occhi per non vedere il riflesso delle macchine che correvano. Dall’altra parte della strada la donna guardava quel manichino che lui era diventato col tempo, e al suono di un violino che si arrampicava nel traffico, forse lo odiava, lo immaginava nudo, privo di voce e di pensieri come lui avrebbe voluto essere. Poi all’improvviso la donna crollò a terra, di schianto come una mucca al macello, intuendo la pistola negli occhi della bambola. Ma l’uomo la conosceva bene, era solo una delle sue stramberie, credersi morta, attraversò la strada e la raggiunse sedendosi accanto al suo corpo vuoto. Un piccione atterrò sulla schiena della donna e lei si scosse. Eccola lì, in attesa di tornare in vita come tutte le altre volte, tra poco si sarebbe seduta al suo fianco, gli avrebbe preso le mani per stringerle e morderle cercando un po’ di sangue. E il mendicante col violino sarebbe passato davanti alla vetrina, dove la bambola, trafitta dai fanali delle auto appena accesi, gli avrebbe bisbigliato un segreto.


movimenti ripidi degli occhi. 3

L’uomo la guardava dalla finestra del bar restare tenacemente aggrappata a quel prato sfatto che la faceva piccola come una parola sussurrata. Il vento appassionato frustava la donna e il suo cappotto grigio, ma c’era solo il rumore del biliardo, l’uomo appoggiava la fronte e poi aprendo la bocca appannava il vetro per farla svanire dal suo brutto sogno. Lei cominciò a camminare sulle ginocchia, raccoglieva dell’erba e la mangiava strappandola coi denti, questo le ricordava qualcosa, ed era una scena che aveva visto da una finestra o da un oblò, quando i desideri erano come quei buchi del biliardo dove sparivano le palle che si erano scontrate. L’uomo ripulì il vetro per guardarla ancora e forse per decidere di scappare via e rimpiangerla, e andarsi a cercare un po’ di nostalgia in un posto senza vento, e non gli faceva niente vedere la donna che ingurgitava altra erba in mezzo alle gambe, riempiendosi proprio là dove si sentiva incendiare dalla fame, solo pensava che il vento non stava facendo nessun rumore.


movimenti ripidi degli occhi. 2

La donna si era messa a contare le stelle e l’uomo urlava che non poteva più stare in quel posto, e correva tagliando in due il parcheggio vuoto, ed era come vedere una vita scagliarsi nel dimenticatoio, questo la donna l’aveva sempre saputo di lui ma non si era mai presa la briga di parlargli come si fa a una stella cadente. C’era odore di benzina nell’aria che faceva venire voglia di accendere un fiammifero, lei si sedette sulla sbarra che chiudeva la strada, lasciando che le ortiche le crescessero ovunque, con l’unico capriccio di pensare qualsiasi cosa la potesse rendere infelice. Finché l’uomo perdendosi tra le piante prese il cellulare e cominciò a parlare con qualcuno, la donna non sentiva le parole ma sapeva che non erano parole, perché il suo telefono non aveva suonato ed era l’unico che avrebbe potuto, perché non c’era nessuno che non fosse lei e dunque l’uomo non poteva che parlare da solo, lei lo sapeva, ma non sapeva se sorridere o continuare a contare le stelle sperando che lui le arrivasse alle spalle a un certo punto per baciarle un orecchio.


movimenti ripidi degli occhi. 1

Mentre la donna saltellava in piedi al letto l’uomo era sdraiato a terra sul balcone e guardava il buio cercando la sirena di una nave che prima o poi sarebbe entrata nel porto per trascinarlo via. Voltò la testa e vide le gambe della donna rimbalzare nello specchio. Un pipistrello volteggiava intorno all’acca verde del neon che correva sulla facciata, e il letto cigolava e la donna ansimava, volava ma non sarebbe mai arrivata con la testa al soffitto, pensò l’uomo, è proprio un’ingenua. Ma lei voleva solo scavalcare l’orizzonte per vedere il fumo della nave, così saltava sempre più in alto e grugniva con gli occhi spauriti, mentre da sotto arrivavano voci di gente inutile e sbiadita. La macchina fotografica era rimasta sul tappeto e l’uomo la raggiunse strisciando, poi stette a guardare la donna saltare nella sua foga forsennata. Lui non sapeva niente di quella donna sudata coi capelli al posto della faccia, del neon che si spegneva sulle ginocchia, si riaccendeva sulle cosce. Guardò nel mirino, poi sfuocò completamente quei salti e quel seno furioso fino a vedere un colore solo. Per ultimo scagliò la macchina contro di lei, ma solo per poter rompere lo specchio, che lo specchio di un albergo ha visto così tante disperazioni che è come se non ha visto niente.