prima o poi troverò un titolo per questa storia

1

Era una giornata triste, sia che la si guardasse dalla finestra, sia fissando il muro con i suoi quadri dentro i quali non riuscivo più a perdermi da tempo, c’era un sole che riscaldava la trasparenza delle nuvole ma non i miei pensieri. Suonò il telefono e pur non avendo motivo per rispondere né sperare in niente risposi pronto. C’era un uomo dall’altra parte che disse sono John Myers o qualcosa del genere, e aveva un forte accento straniero e se avesse detto Oliver Hardy ci avrei creduto di più. Disse, buonasera chiamo da Lugano, ed era per conto di una certa ditta che non ricordo. Noi sappiamo che voi uomini italiani siete molto interessati al vostro aspetto e avete grande cura del vostro corpo, incalzò. Può darsi, ma non io, risposi. Buonasera. Lui cercò disperatamente di restarmi aggrappato in qualche modo parlando velocemente di creme e cose innovative, e io gli spiegai che ero solito lavarmi la faccia al mattino e i denti la sera, il pettine mi era sconosciuto e mi facevo il bagno una volta al mese giusto per far scorrere l’acqua. Ed era quasi la verità. Quando riattaccai il mio umore era migliorato. Non so che tempo facesse a Lugano, qui le foglie volavano da una nostalgia all’altra, e dal cornicione di fronte le osservavano i piccioni.

2

Vedere due uomini in divisa galleggiare sull’erba alta e venire avanti esattamente verso di me, perché stanno cercando proprio me, mi avrebbe spaventato se fosse stato un giorno normale, se non fossi sicuro cioè di averli chiamati io, e che questo è un giorno così grigio da sembrare voler vomitare in ogni angolo di strada tutte le sue ore più insopportabili. Mi fecero un cenno appena furono prossimi e io dissi, è là, sperando forse che non trovassero niente per poterli sorprendere dicendo ho scherzato, e sì, mi avrebbero dato due sberle ma era sempre meglio della realtà, ogni cosa anche la prigione era meglio della realtà, che io pensavo che quel giorno sarebbe diventato buio in fretta per restare spento per sempre. Alcuni curiosi si affacciavano già sul bordo della strada là in fondo. Mi guardavano come se fossi io il colpevole, qualcuno mi indicava anche con un dito, ma li capivo, da lontano sono sempre tutti un po’ colpevoli. Le guardie si avvicinarono, quello più giovane era pallido, quello più vecchio mi offrì una sigaretta, poi chiamarono i rinforzi. Dall’erba alta salì un freddo da non riuscire a respirarlo. Feci un giro su me stesso per vedere il mondo girare e ritornare daccapo, come era già ieri, come non sarà domani.

3

Arrivammo al commissariato ed erano tutti molto gentili con me, in fondo stavo risolvendo un caso attorno al quale chissà quanto tempo avevano già lasciato. La fortuna di essere in quel prato era toccata a me e quindi mi sembrava giusto sottopormi alle procedure, gli accertamenti insomma andavano fatti. Spiegai che stavo facendo un giro per fare delle foto, e capii subito che le avrebbero volute vedere, e la cosa mi dava un po’ fastidio, glielo feci notare con una smorfia appena percettibile, così che dissero, c’è qualche problema? No no lo capisco, e allungai la macchina avvisandoli che non avevo fatto foto al cadavere, erano solo foto così per perdere tempo. Beato lei, disse facendo scorrere le foto, mentre io cominciavo a inquietarmi perché non mi andava di essere giudicato da un poliziotto che se lo sapevo ci avrei messo un po’ più d’impegno, io schiacciavo e basta non potevo immaginare che qualcuno le avrebbe guardate sbirciandomi a tratti come per capire la mia vena di artista, beato lei disse, che ha tempo da perdere. Avete capito chi è la ragazza? chiesi, ma devo aver parlato troppo a bassa voce perché nessuno mi rispose. Ero piacevolmente sorpreso dall’interesse del commissario per le mie foto, forse era un intenditore. Gli altri si muovevano come fossero topi, annusando e cercando una direzione che non fosse la stessa dalla quale erano venuti, c’era una pioggia sottile fuori che li rendeva ancor più incomprensibili. Va spesso in giro a fare foto, o solo in momenti particolari? Quando non dormo la notte e mi sembra di aver perso qualcosa, risposi.

4

E questo cos’è? Incuriosito feci per alzarmi ma lui voltò il display della macchina verso di me. Ah questo, sì è il mio gatto, non ho mai cancellato queste foto, sono lì da qualche anno, cose vecchie. Ha un aspetto orrendo il suo gatto. Sì perché era morto, risposi. Il commissario mi fissò. Ma non l’ho ucciso io, precisai, era il mio gatto, tutta la mia vita. Ne ha fatte parecchie di foto al suo gatto, certo fanno impressione, è annegato? No è bagnato perché è rimasto nel freezer una settimana aspettando la cremazione. Credevo che con il suo lavoro non le facesse impressione più niente. Gli altri si erano avvicinati e guardavano il mio gatto che era dentro il cellophane azzurro, chissà cosa pensavano dei suoi occhi liquefatti e del suo pelo elettrico. E della mia innocenza e del mio sorriso un po’ scemo che avevo adesso per affrontare quello strano silenzio che si era fatto. Se avessi avuto qualcosa da temere avrei cominciato a preoccuparmi, ma io avevo solo trovato il corpo, che se fosse stato un manichino a questo punto sarebbe stato meglio per tutti, la stavano facendo troppo lunga. E questo? La bocca del commissario restò socchiusa e c’era solo il rumore di una stampante che veniva dall’altra stanza. Mi alzai e feci il giro della scrivania raggiungendo gli altri che spalancavano gli occhi sul display della mia macchina, e poi dissi ah sì, quella è mia nonna. Non c’era niente di male ad averla fotografata quando l’avevano riesumata, in fondo non l’avevo mai vista da viva, e non ce la facevo a cancellarla mi sembrava di ucciderla così, per cui le foto erano rimaste in memoria, come lo sapevo io che un giorno mi sarei trovato in quel prato dove tutti si sarebbero voluti trovare e poi mi avrebbero perquisito le foto e il commissario mi avrebbe guardato in quel modo come a dire che uno più uno cominciano già a fare due, come lo sapevo, non posso inventarmi alibi prima di sapere di aver commesso un delitto, che poi potranno anche pensare che sono un tipo strano, e cosa ci sarà mai di strano quella è la legge dei cimiteri tirar su i morti di tanto in tanto, ma da qui ad avere in mano le prove li voglio vedere. Ci può lasciare la sua macchina fotografica? disse il commissario. Aveva la faccia molto curata, e secondo me bazzicava spesso dalle parti di Lugano. Come volete, di certo non andrò in giro per prati a fare foto in questi giorni.

5

Non che avere il computer pieno di video porno significasse qualcosa di particolare, però essendo che la mia situazione si era un po’ complicata ho preferito togliere tutto. E infatti giusto appena che avevo finito si sono presentati e mi hanno portato via il computer. Sì certo era la prassi, atti dovuti e tutto il resto, ma io intanto ero più tranquillo. Almeno fino a quando non mi è venuto il dubbio che con i mezzi che hanno a disposizione avrebbero capito facilmente e ben presto che qualcosa da quel computer era stato tolto praticamente in fretta e furia, e si sarebbero presentati per mettere sottosopra la casa. Allora mi sono preso tutti i dischi sui quali avevo salvato i video, ho fatto una valigia in qualche modo e me ne sono andato, con la direzione che fosse il più possibile lontana da Lugano, anzi opposta, e quindi mare, ho preso un treno e me ne sono andato al mare.

6

Nella condizione di fuggiasco in cui mi trovavo non potevo andare troppo per il sottile e l’unico optional che reclamavo all’albergo era quello di non chiedermi i documenti. La mia stanza aveva come unica attrattiva un avanzo di cielo incastonato tra un tetto e una grondaia, e il pezzo forte dell’arredamento era una ragnatela che finiva direttamente sull’armadio. Sul balcone non si poteva camminare per come era piccolo, così decisi di cominciare a fumare. C’era un giardino di sotto e una ragazza che prendeva il sole. Non avevo la macchina fotografica, non sapevo cosa fare di lei. Avrei potuto portarla per un caffè da qualche parte, o sulla spiaggia per raccontarci qualcosa che s’intonasse alle onde. Se poi l’avessi uccisa avrebbe smesso di avere paura della vita, così come sembrava, ritagliata dentro quella fetta di sole che la rendeva quasi già morta e dimenticata. Fortunatamente i miei pensieri non potevano essere intercettati. E ucciderla poi avrebbe costituito un indizio troppo pericoloso e il commissario non vedeva l’ora che facessi un passo falso per poter dire che la ragazza del prato era colpa mia. Così decisi di non fare altro che aspettare che si facesse sera, solo guardando il cielo diventare buio.


3 responses to “prima o poi troverò un titolo per questa storia

Lascia un commento