Nella condizione di fuggiasco in cui mi trovavo non potevo andare troppo per il sottile e l’unico optional che reclamavo all’albergo era quello di non chiedermi i documenti. La mia stanza aveva come unica attrattiva un avanzo di cielo incastonato tra un tetto e una grondaia, e il pezzo forte dell’arredamento era una ragnatela che finiva direttamente sull’armadio. Sul balcone non si poteva camminare per come era piccolo, così decisi di cominciare a fumare. C’era un giardino di sotto e una ragazza che prendeva il sole. Non avevo la macchina fotografica, non sapevo cosa fare di lei. Avrei potuto portarla per un caffè da qualche parte, o sulla spiaggia per raccontarci qualcosa che s’intonasse alle onde. Se poi l’avessi uccisa avrebbe smesso di avere paura della vita, così come sembrava, ritagliata dentro quella fetta di sole che la rendeva quasi già morta e dimenticata. Fortunatamente i miei pensieri non potevano essere intercettati. E ucciderla poi avrebbe costituito un indizio troppo pericoloso e il commissario non vedeva l’ora che facessi un passo falso per poter dire che la ragazza del prato era colpa mia. Così decisi di non fare altro che aspettare che si facesse sera, solo guardando il cielo diventare buio.
(6 continua)
per leggere questa storia dall’inizio vai in questa pagina
25 novembre 2013 at 14:51
nei tuoi racconti prediligi la prima persona, vero? Siamo sicuri che sono racconti, vero?
25 novembre 2013 at 15:08
ho detto che questo è un racconto?… però tu puoi continuare a crederlo se ti interessa di continuare a frequentarmi
25 novembre 2013 at 15:20
non so…la morte non s’intona al colore del mio incarnato…